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Nasce il Fondo nazionale per l’innovazione: 1 miliardo per 1000 startup

Cassa Depositi e Prestiti, insieme con Ministero dello Sviluppo Economico, lanciano un fondo nazionale per l’innovazione nell’impresa, con una dotazione da 1 miliardo di euro per sostenere 1000 startup nei prossimi tre anni. Un’occasione da non perdere per tutto l’ecosistema italiano!

Nel 2019 il venture capital tricolore ha investito circa 500 milioni. Contro i 10,2 miliardi del Regno Unito, i 5,4 della Germania e i 4,4 della Francia. Rispetto ai 90 gestori d’Oltralpe, nello Stivale se ne contano 30. Nei prime tre mesi dell’anno le startup italiane hanno raggiunto quota 11.206.

Ma in media hanno un margine operativo lordo di 10mila euro. Solo otto nate negli ultimi sette anni nel 2018 hanno superato il milione di euro e appena due i cinque. E sebbene in Italia il Fondo nazionale innovazione (Fni) abbia censito 197 programmi tra acceleratori e incubatori, meno del 20% delle startup vi è passata attraverso.


E ancora: delle quattromila pubblicazioni universitarie in scienze delle vita, 400 sono diventate brevetti. Un quinto rispetto alla Germania. Se poi si misura quanti di quei brevetti diventano startup, il confronto con Berlino è di un ventesimo. “L’innovazione resta piccola e non si muove”, è la diagnosi dell'amministratore delegato del Fondo nazionale innovazione, Enrico Resmini.

Da qui il progetto del “fondo dei fondi”. Uno strumento finanziario che inietti capitale nelle startup e stimoli la crescita dell’ambiente di cui hanno bisogno per proliferare: fondi di venture capital, acceleratori e incubatori, corsi universitari. I settori vanno dalle biotecnologie all’industria 4.0, dalla blockchain all’intelligenza artificiale, da prodotti e servizi basati sui big data allo spazio, dal fintech all’agricoltura di precisione alla salute.


Battezzato dall’allora ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, nel marzo 2019 a Torino, il fondo imbocca ora la rampa di lancio. Qualche operazione è già stata attivata. Da gennaio “sono stati allocati 100 milioni di euro, con un impatto su 160 startup, e l’obiettivo entro fine anno è arrivare a 250 milioni”, spiega Fabrizio Palermo, amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti (Cdp).

Il Fondo nazionale innovazione ha già “765 milioni di euro in gestione”, spiega Resmini, che raggiungeranno un miliardo entro fine anno. Le finanze arrivano fifty-fifty dal ministero dello Sviluppo economico (Mise) e da Cdp, l’istituto partecipato dal Tesoro che investe il risparmio postale. Il primo ha allocato i 200 milioni degli ex fondi della sua in-house Invitalia, che partecipa al 30% in Cdp venture capital (la cassaforte del Fni, l’altro 70% è Cdp), più 200 milioni dell’ex fondo delocalizzazioni e 110 di risorse aggiuntive (di cui 260 già sottoscritti). Cassa depositi contribuisce al resto.

Il super Fondo si appoggia su sette programmi. Quattro sono già partiti. Italia Ventures I, ex Invitalia, ha 80 milioni in pancia. “Agisce su tutto il territorio nazionale, con un intervento diretto sulle startup, e ha investito nel mondo life science, biotech, digital e food delivery”, spiega Resmini. Sono già venti le aziende finanziate, tra cui Primo Space, veicolo di Primomiglio sgr per sostenere l’economia dello spazio. Sempre dalla galassia Invitalia Fni eredita il Fondo Sud, divenuto Italia Ventures II, che destina i suoi 150 milioni alle aziende del Meridione. Tra i beneficiari, il circuito del credito alternativo Sardex e una startup del settore ospitalià, Sweetguest.

Sono anche partiti a febbraio VenturItaly, 300 milioni per finanziare l’attività di altri venture capital, con 3 iniziative già valutate e 60 in valutazione, e a maggio il Fondo acceleratori, 125 milioni per promuovere “20 programmi di incubazione e accelerazione”, dice Resmini. Quindici progetti sono già al vaglio.

Entro il terzo trimestre del 2020 saranno costituiti altri due fondi. Il primo, 150 milioni di dotazione, punta al corporate venture capital, ossia la finanza mossa dalle grandi aziende. Come la recente operazioni del colosso degli alcolici, Campari, nella startup Tannico. Nel complesso, però, “in Italia si contano 12 investitmenti da corporate venture capital. Un ventesimo del Regno Unito, un decimo della Francia”, chiosa Resmini. Altri 150 milioni andranno in un fondo per il trasferimento tecnologico: prendere i brevetti nati nelle università e fare carburante perché diventino imprese. L’ultima operazione, traguardo ai primi del 2021, riguarda gli investimenti late stage, quelli di startup mature. Si parte con 100 milioni, ma Resmini precisa che “è una dotazione iniziale. Un fondo così ha bisogno di risorse più importanti”. In termini numeri, gli obiettivi sono presto detti: mille startup finanziate nel triennio 2020-22, 15-20 acceleratori di nuova generazione, oltre 800 milioni investiti. Ma soprattutto, spiega Resmini, un mercato italiano del venture capital che muove 2,5-3 miliardi di euro, al netto del sostegno pubblico. Rispetto ai fondi, l’ad punta a un tasso di ritorno sugli investimenti (Irr) tra il 10% e il 13-14% e un ritorno cash on cash dall’1,2% al 2,2%.

Entro l’anno il primo fonda, Italia Ventures I, deve aggiungere 10 nuovi investimenti per 15 milioni complessivi. Il Fondo sud deve allocare 30 milioni in dieci operazioni, mentre 5 il Fondo dei fondi, con una dotazione di 150 milioni, con l’obiettivo di distribuire quei soldi tra 300 imprese innovative. A questi si aggiungono due programmi specifici dopo l’emergenza Covid-19: AccelerOra (9 milioni per startup nel portafoglio di acceleratori e incubatori) e Seed per il Sud (6 milioni per il Meridione).

Ma c’è una questione culturale di fondo. Per la presidente Francesca Bria, il Fni “evidenzia la centralità dell’innovazione tecnologica ed è un supporto a tutta la filiera per garantire al Paese di crescere in modo sostenibile, inclusivo e su un lungo periodo”. Una missione in linea, prosegue Bria, con i piani della Commissione europea, che ha “l’ambizione di riprendere la leadership globale recuperando sovranità tecnologica. Il divario con la Silicon Valley e le altre regioni avanzate si sta riducendo”. Lo testimoniano i dati: 40 miliardi raccolti dalle startup europee nel 2019, 170 unicorni, 223 miliardi in exit l’anno scorso e 2 milioni di posti di lavoro. La Silicon Valley ma soprattutto Greater Bay Area cinese corrono, tuttavia l’Europa ha le forze per recuperare terreno e l’obiettivo del Fondo è di mettere l’Italia nel gruppo di testa di questa partita. Nel frattempo spunta un nuovo fondo finanziato dallo Stato per l’innovazione: Enea tech, comparso nel decreto legge Rilancio. Dotazione di 500 milioni di euro, è promosso dall’Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile) con l’obiettivo di sostenere il trasferimento tecnologico. A gestirlo una fondazione, che dovrebbe ricevere 12 milioni per muovere i primi passi nel 2020.

Il rischio ventilato è che Enea tech diventi un clone del Fondo nazionale innovazione e che, duplicandosi le iniziative, non si concentri la potenza di fuoco delle iniziative là dove serve. Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, rassicura: “Non è un concorrente. Enea tech chiuderà il percorso dalla ricerca applicata a industria, in una fase pre-mercato, e sarà da alimentazione per la fase successiva di investimenti in venture capital”. Certo è che nel bouquet del Fondo nazionale innovazione un programma per fare quel lavoro già c’è. Ed è anche partito.



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